Paesaggio di memoria e rovina

Il 14 ottobre è la data convenuta della liberazione di Savignano dal nazifascismo e dall’occupazione tedesca, il giorno in cui cessano le operazioni militari.

L’11 ottobre gli alleati avevano attraversato il Rubicone, il fronte della guerra si spostava a nord. Nei venti giorni precedenti la città aveva vissuto il periodo più drammatico e straziante della sua storia, stretta nel fuoco di fila di tedeschi e alleati che si scontravano nell’offensiva finale, i tedeschi su una sponda, gli alleati sull’altra del fiume, il Rubicone, tornato ancora fatalmente a segnare una linea di confine. Da quando erano iniziate a cadere le prime granate, il 20 settembre, gli attacchi si erano fatti ripetuti e impetuosi, bombe e granate piovevano dal cielo, dalla terra, dal mare in un incalzante accerchiamento culminato in un fuoco violento da entrambe le parti. Ad appesantire le manovre militari e ad esasperare una situazione ormai intollerabile, una pioggia a dirotto era precipitata ininterrottamente per cinque giorni.

Molti i caduti di quel periodo, militari e civili vittime di sopraffazioni e attentati, delle micidiali mine tedesche, delle granate e delle bombe alleate. Un bilancio di una cinquantina di militari e un centinaio di civili.

Vittima eccellente una città dolente e distrutta apparsa agli sguardi attoniti della gente all’alba del 14 ottobre 1944: le campagne devastate, non un edificio rimasto integro, un disastro la cui entità sfiorava il 90%, tanto da far includere Savignano nell’elenco ministeriali dei comuni con il maggior grado di distruzione.

Nel ricordo di chi quella mattina c’era è difficile spiegare e raccontare ciò che si vide: solo macerie e rovine sulle strade divelte e poi case, negozi, edifici pubblici ridotti ad un informe ammasso di detriti.

In questo paesaggio di rovine Savignano è tutta un luogo della memoria, dal momento che non c’è nessuno che non sia stato più o meno direttamente colpito dallo scempio della guerra, nelle cose e negli affetti. Dal momento che non c’è nessuno che non abbia visto con dolore e disappunto i monumenti, gli edifici, religiosi, civili, culturali, millenari e secolari della propria città, completamente distrutti o irrimediabilmente sfigurati.

Per tutti coloro che c’erano sono perduranti e perenni luoghi della memoria:

– il palazzo comunale, ridotto a “una specie di rudere sconvolto e logorato dai secoli”, con la torre civica crollata sul bel teatro di tradizione, le carte dell’archivio storico scompigliate e mescolate ai detriti e al fango;

– l’Accademia dei Filopatridi, custode delle pregevoli biblioteche cittadine, dal cui tetto sfondato l’azione devastante dell’acqua, dei detriti e delle macerie aveva sciupato e danneggiato i preziosi fondi librari e documentari;

– la Villa dei Marchesi Guidi di Bagno, gioiello neopalladiano, a sua volta ridotta ad un lugubre scheletro, rifugio di molti civili e testimone di episodi e scontri sanguinosi fra tedeschi e inglesi che l’avevano vicendevolmente occupata;

– la Villa Spaletti Colonna di Paliano, nel cui parco i tedeschi avevano installato un deposito di armi e munizioni, nascosto dalla fitte e pregiate piante dell’orto botanico;

– il ponte consolare del I° secolo a.C., legato al mitico passaggio del Rubicone e testimone di duemila anni di storia municipale e civile, che i tedeschi avevano fatto saltare con cariche di dinamite nella notte fra il 28 e 29 settembre 1944.

Di seguito alcune foto storiche conservate nell’archivio della Fototeca “Marco Pesaresi”. Nella sezione mappe sono riportate e geolocalizzate queste e altre foto del periodo.